Articolo di LADISLAV MALINSKY sulla rivista Atelier (CZ) - Novembre 1995
Ladislav Dydek ha lasciato la Cecoslovacchia all'età di cinquanta anni (1969), avendo alle spalle vent'anni di difficile attività creativa, definizione questa à · dir poco moderata per il terribile periodo degli anni cinquanta ·e sessanta. Questi vent'anni sono bastati per iscrivere il suo nome nella storia dell'arte moderna ceca, ma anche ·per essere segnato, se non proprio nella lista nera, almeno in quella grigia di coloro di cui non era consigliato parlare ad alta voce. L'anno liberatorio 1989 era ancora lontano altri vent'anni.
Nativo di Brno, per Dydek fare il pittore di professione era un sogno già da bambino, e seppur avesse frequentato l'Istituto d'arte di Brno (1936 - 40), gli ultimi anni di questi studi erano già oscurati dall'occupazione, il protettorato, la chiusura delle università, la guerra ed il pericolo di dover lavorare per l'impero. A parte la pittura, Dydek aveva ancora un amore, anche se secondario, che però l'ha difeso da questo pericolo. Era la musica e per la sua conoscenza teorica e la capacità di leggere le partiture è stato impiegato alla radio di Brno come tecnico del suono, dove ha sopravvissuto la guerra. Poco dopo la guerra si è trasferito definitivamente a Praga ed ha studiato all'Accademia delle belle arti presso il professor Obrovsky fino alla morte di quest'ultimo. Su raccomandazione del prof. V. Makovsky è stato poi accettato nel Sindacato degli artisti. Questo per i suoi anni di apprendistato.
Alla fine della guerra la speranza ha invaso il mondo dell'arte (e non solo). Un gran numero di giovani artisti sprigionava dinamismo fin' ora trattenuto col desiderio di farsi partecipi di una nuova libera arte. Sono state rinnovate vecchie buone tradizioni, cominciavano ad essere pubblicate riviste di settore, le pubblicazioni -del "Dibattito d'arte" (Umelecka Beseda) e del "Manes" e del nuovo "Blok" di Brno, sono apparse nuovamente mostre di artisti locali e stranieri. Un periodo insomma che prometteva bene dopo tanti anni dell'imposto realismo nazional-socialista. Purtroppo questo stato è durato ben poco, è arrivato il febbraio '48 e da lì è iniziato l'ingabbiamento di tutto ciò che differiva o non voleva assoggettarsi ad un nuovo realismo, questa volta socialista.
Praticamente al colore bruno è succeduto il colore rosso. Nonostante il fatto che il realismo socialista fosse stato importato da noi (in Cecoslovacchia - ndt.) come un prodotto finito, pochi conoscevano la sua esatta definizione, celata dietro lo slogan de "l'arte per gli ampi strati del popolo lavoratore. Il Ministero della Cultura, insieme al Sindacato degli artisti, ha quindi nominato dei commissari, che poi decidevano se una scultura od un quadro corrispondevano ai nuovi parametri. Molti insegnanti sono stati espulsi dalle scuole, alcuni di essi (F. Tichy e altri) avevano addirittura il divieto di illustrare libri. Associazioni, che avevano un proprio programma artistico, o addirittura indirizzo (UB, Manes), sono state mutilate dell’influenza (indesiderata) che avevano e sono stati artificiosamente creati nuovi gruppi, più piccoli e non sulla base di una omogeneità artistica (che doveva essere uniforme), ma sulla base della residenza. In uno di questi gruppi, denominato "Stursa" si è trovato anche Dydek, dal destino unito a Richard Fremund, Jiri Martin; Robert Piesen, Jitka Kolinska, Bela Cernikova e altri.
Una grande influenza sull'evidente passo in avanti della (sua) ricerca tra queste due mostre l'esercitano senza ogni dubbio i numerosi viaggi di studio all'estero, soprattutto in Italia e Grecia, che qui si ritrovano sia nelle tematiche che nei titoli delle opere esposte.
Nel periodo successivo si aggiunge un nuovo elemento, con il quale Dydek conduce una "battaglia", di volta in volta ne esce vincitore, altre volte il risultato è incerto, o ancora, e bisogna ammetterlo, qualche volta perde ai punti. Questo elemento è la· materia. Nello studio di Dydek, a Mala Strana, in un succedersi difficilmente articolabile si incontrano diversi tipi di vernici e smalti, cere colorate, terre, soprattutto da ceramica, legni per le “encaustiche", campioni e prove per grandi opere tessili con un nuovo metodo chiamato "art protis", vetri dipinti o lavorati con acidi, sabbia, materiali per intonaci e stucchi, ed ancora una lunga serie di altri materiali, che normalmente vengono raggruppati con la definizione di mixed media.
A questo periodo di lotta e di ricerca nel campo dei materiali e di approccio, qualche volta calcolato, altre tumultuoso, col grande mondo della cosiddetta arte astratta, appartiene la storica mostra di Dydek allestita nella galleria "Spala" sul finire del 1962. Questa mostra è “storica", perché la vernice si è tenuta senza quadri, sul marciapiede davanti alla galleria; le sale di esposizione erano state chiuse dalla polizia. Il perché ciò fosse successo, un intervento mai avvenuto nel mondo dell'arte, lo potremmo con semplificazione imputare ad "un intervento voluto dall'alto". Ma proviamo a trovare una ragione più profonda, e per fare questo dobbiamo chiarire l'atmosfera che si viveva intorno all’anno1962.
Dydek certamente non era l'unico che deviava dagli indirizzi ufficiali, che dovevano essere vincolanti per qualsiasi attività nel campo dell'arte. Dydek ed i suoi consimili erano continuamente oggetto di critiche da parte di coloro che in gran parte scrivevano secondo i suddetti indirizzi. (F.Pecas in Rudé Pravo, O.Mrkvicka in Literarni Noviny, _P.Sovak in Vecerni Praha e altri), e solo alcuni coraggiosi hanno osato scrivere testi obiettivi (ad esempio L.Vachtova in Tvar), o addirittura di plauso (L.Brozkova in Lidova Demokracie). Tra questi ultimi bisogna iscrivere anche coloro che scrivevano le presentazioni direttamente nei cataloghi delle mostre. Il catalogo della mostra di Dydek era stato per sicurezza sequestrato e doveva essere distrutto. La situazione era quindi per molti versi tesa. Per gli alti ”papaveri” che si sono autoproclamati guardie dell’arte era chiaro che i commissari lasciati soli non sarebbero riusciti a tenere l'arte stessa in nessun tipo di recinto, alcuni di essi addirittura facevano autocritica della propria attività di controllo e di come l'arte, a causa della loro insufficiente attenzione, stesse degenerando. Ed improvvisamente gli si era offerta un'occasione di come riparare, vale a dire la mostra di uno dei contestatori, che “pare” propagare l'arte astratta. So, che Dydek non ama molto questa definizione, ma allora sotto l'emblema di arte astratta si passava tutto ciò che deviava dal realismo ufficiale e perciò veniva considerato decadente, se non ostile e quindi pericoloso. Questo era un motivo sufficiente per far chiudere la mostra con un intervento della polizia all'ultimo istante prima della sua inaugurazione. Alcuni dell'Associazione degli Scrittori, condotti dal giornalista Ludvik Vesely, avevano chiesto di tenere una discussione sull'increscioso episodio, ma anche loro sono stati respinti fuori sul marciapiede con la motivazione che la chiusura sia dovuta espressamente alla volontà del Sindacato degli artisti. L'esibizione è stata riaperta alcune settimane più tardi, ma i titoli delle opere han dovuto essere cambiati ed alcuni quadri sono stati del tutto rimossi. La mostra comprendeva in tutto cinquanta dipinti e quaranta disegni e fogli grafici.
Dopo la riapertura la mostra ha avuto un invidiabile numero di visitatori e dalle pagine fittamente riempite del giornale dei visitatori mi sono trascritto un commento, che caratterizza la rabbia impotente e nel quale non manca neanche il sapore di delazione di quell'epoca Cito, senza aggiungere altro: "Il carattere formale della mostra è stato in maniera convincente descritto nel numero di oggi di Rude Pravo. E sicuramente seguiranno altre critiche di questo tipo. Per quanto riguarda l'osservazione sul “dogmatismo”, suggerirei all'autore di leggere con attenzione il discorso del segretario del Comitato centrale del partito comunista sovietico compagno Iljacev nell’incontro con gli artisti a Mosca. E penso, che non farebbe male (a ragionarvi sopra) neanche l'autore dei quadri che purtroppo oggi vedo alla galleria Spala. K.Aksamit, redattore, Praga."
Il contenuto della personale era caratterizzato dalla già citata battaglia con il materiale, che qui abbonda. Dydek, quasi come se sentisse che è la sua ultima esibizione nella terra natia, vi ha raggruppato un numero troppo rilevante di mezzi espressivi, dei quali alcuni erano ancora alla fase sperimentativa e conferivano in qualche maniera a diluire la mostra. Ho in mente in particolare i panelli qui per la prima volta esposti (e probabilmente per l'ultima) trattati quasi in fretta con smalti e vernici colorate. Dall'altra parte apprezzo molto gli intonaci di colore, dove si evidenzia in maniera dominante la sensibilità di Dydek per la linea ed il colore, le sue anni espressive più forti e che lo accompagneranno verso il periodo della maturità. Ma non anticipiamo.
Sembra così, che con la residenza si poteva un poco manipolare. Si dipingeva con lo spirito della scuola parigina, in modo figurativo e parzialmente realistico, in modo tale cioè, che almeno qualcosa passasse attraverso il controllo) dei commissari che sceglievano le opere adatte alle mostre collettive del Sindacato, alle quali partecipare era praticamente obbligatorio per chi volesse restarvi iscritto. Questa struttura rigidamente imposta non poteva durare a lungo ed era necessario modificarla. Il Sindacato è stato cambiato in un corpo scelto d'élite con cento iscritti. Con grande sorpresa sua e degli altri, in questo numero ristretto è stato nominato anche Dydek. I motivi di questa scelta non erano del tutto chiari. Dydek allora era un giovane di temperamento e per il Sindacato era probabilmente meglio averlo sotto osservazione all’interno della struttura. Ma non sono riusciti a tenerlo in gabbia.
Gli artisti scelti del nuovo Sindacato potevano, o meglio dovevano raggruppare intorno a sè artisti, che si sono trovati fuori dalla struttura, ciò che ha permesso a Dydek di legalizzare il gruppo dei suoi amici, e così nell’anno 1956 nasceva progressivamente un gruppo denominato comunemente “Maggio'', del quale erano la base i più sopra nominati artisti del non·più esistente gruppo Stursa. Più avanti vi si sono uniti anche altri (Benes, Hajek, Podhrazsky, Balcar, Fara, Vystrcil, Chlupac, Sekal, Nolc. Belosvetov, Vysusil, Palcr ed alcuni ospiti). Nel maggio 1957 si è inaugurata la prima mostra pubblica (Obecni dum) col nome "Maggio 57", un esibizione questa, che a ragione oggi i critici valutano come un primo movimento collettivo per la liberizzazione dell'arte. L'esempio è stato seguito dai gruppi "Trasa" e "UB 12". Alcuni singoli artisti del gruppo ''Maggio", o ad esso idealmente imparentati avevano esposto già prima, ma come collettivo il gruppo ”Maggio” è stato il primo. La loro seconda mostra, già in completa formazione, si è tenuta esattamente un anno più tardi nel palazzo Dunaj. Anche Dydek ha tenuto delle proprie personali, la prima volta alla galleria "Mladych" nel maggio 1957 ed un anno più tardi alla galleria "Spala". Nella prima mostra (34 dipinti ad olio e 15 disegni) hanno ancora sopravvento i paesaggi e le nature morte, ma era già ben chiaro, che il pittore non intendeva farsi indirizzare sulla strada ufficialmente indicata. Tra le tematiche figurative (soprattutto nei disegni) viene chiaramente ad evidenziarsi il motivo centrale degli studi di ritratto di Dydek: sua moglie Jarmila (espulsa dall'università e dagli studi di storia dell'arte, ma non del tutto zittita dal punto vista pubblicistico (J. Skalicka). A questo periodo è collegata anche la nascita del figlio David (1956).
Nella seconda personale del 1958 alla galleria Spala (17 dipinti ad olio e circa 30 disegni e fogli grafici) entrano nel lavoro creativo di Dydek in maniera decisa due elementi che Io accompagneranno anche negli anni a venire: la linea ed il colore. Per ora questi due elementi restano imprigionati dalle tematiche, o almeno dal titolo dell'opera, ma è già del tutto chiaro che l'autore vuole liberarsi di questo legame ed entrare nel mondo dell'astrazione. Ma questo periodo dovrà ancora arrivare.
Una grande influenza sull'evidente passo in avanti della (sua) ricerca tra queste due mostre l'esercitano senza ogni dubbio i numerosi viaggi di studio all'estero, soprattutto in Italia e Grecia, che qui si ritrovano sia nelle tematiche che nei titoli delle opere esposte.
Nel periodo successivo si aggiunge un nuovo elemento, con il quale Dydek conduce una "battaglia", di volta in volta ne esce vincitore, altre volte il risultato è incerto, o ancora, e bisogna ammetterlo, qualche volta perde ai punti. Questo elemento è la· materia. Nello studio di Dydek, a Mala Strana, in un succedersi difficilmente articolabile si incontrano diversi tipi di vernici e smalti, cere colorate, terre, soprattutto da ceramica, legni per le “encaustiche", campioni e prove per grandi opere tessili con un nuovo metodo chiamato "art protis", vetri dipinti o lavorati con acidi, sabbia, materiali per intonaci e stucchi, ed ancora una lunga serie di altri materiali, che normalmente vengono raggruppati con la definizione di mixed media.
A questo periodo di lotta e di ricerca nel campo dei materiali e di approccio, qualche volta calcolato, altre tumultuoso, col grande mondo della cosiddetta arte astratta, appartiene la storica mostra di Dydek allestita nella galleria "Spala" sul finire del 1962. Questa mostra è “storica", perché la vernice si è tenuta senza quadri, sul marciapiede davanti alla galleria; le sale di esposizione erano state chiuse dalla polizia. Il perché ciò fosse successo, un intervento mai avvenuto nel mondo dell'arte, lo potremmo con semplificazione imputare ad "un intervento voluto dall'alto". Ma proviamo a trovare una ragione più profonda, e per fare questo dobbiamo chiarire l'atmosfera che si viveva intorno all’anno1962.
Dydek certamente non era l'unico che deviava dagli indirizzi ufficiali, che dovevano essere vincolanti per qualsiasi attività nel campo dell'arte. Dydek ed i suoi consimili erano continuamente oggetto di critiche da parte di coloro che in gran parte scrivevano secondo i suddetti indirizzi. (F.Pecas in Rudé Pravo, O.Mrkvicka in Literarni Noviny, _P.Sovak in Vecerni Praha e altri), e solo alcuni coraggiosi hanno osato scrivere testi obiettivi (ad esempio L.Vachtova in Tvar), o addirittura di plauso (L.Brozkova in Lidova Demokracie). Tra questi ultimi bisogna iscrivere anche coloro che scrivevano le presentazioni direttamente nei cataloghi delle mostre. Il catalogo della mostra di Dydek era stato per sicurezza sequestrato e doveva essere distrutto. La situazione era quindi per molti versi tesa. Per gli alti ”papaveri” che si sono autoproclamati guardie dell’arte era chiaro che i commissari lasciati soli non sarebbero riusciti a tenere l'arte stessa in nessun tipo di recinto, alcuni di essi addirittura facevano autocritica della propria attività di controllo e di come l'arte, a causa della loro insufficiente attenzione, stesse degenerando. Ed improvvisamente gli si era offerta un'occasione di come riparare, vale a dire la mostra di uno dei contestatori, che “pare” propagare l'arte astratta. So, che Dydek non ama molto questa definizione, ma allora sotto l'emblema di arte astratta si passava tutto ciò che deviava dal realismo ufficiale e perciò veniva considerato decadente, se non ostile e quindi pericoloso. Questo era un motivo sufficiente per far chiudere la mostra con un intervento della polizia all'ultimo istante prima della sua inaugurazione. Alcuni dell'Associazione degli Scrittori, condotti dal giornalista Ludvik Vesely, avevano chiesto di tenere una discussione sull'increscioso episodio, ma anche loro sono stati respinti fuori sul marciapiede con la motivazione che la chiusura sia dovuta espressamente alla volontà del Sindacato degli artisti. L'esibizione è stata riaperta alcune settimane più tardi, ma i titoli delle opere han dovuto essere cambiati ed alcuni quadri sono stati del tutto rimossi. La mostra comprendeva in tutto cinquanta dipinti e quaranta disegni e fogli grafici.
Dopo la riapertura la mostra ha avuto un invidiabile numero di visitatori e dalle pagine fittamente riempite del giornale dei visitatori mi sono trascritto un commento, che caratterizza la rabbia impotente e nel quale non manca neanche il sapore di delazione di quell'epoca Cito, senza aggiungere altro: "Il carattere formale della mostra è stato in maniera convincente descritto nel numero di oggi di Rude Pravo. E sicuramente seguiranno altre critiche di questo tipo. Per quanto riguarda l'osservazione sul “dogmatismo”, suggerirei all'autore di leggere con attenzione il discorso del segretario del Comitato centrale del partito comunista sovietico compagno Iljacev nell’incontro con gli artisti a Mosca. E penso, che non farebbe male (a ragionarvi sopra) neanche l'autore dei quadri che purtroppo oggi vedo alla galleria Spala. K.Aksamit, redattore, Praga."
Il contenuto della personale era caratterizzato dalla già citata battaglia con il materiale, che qui abbonda. Dydek, quasi come se sentisse che è la sua ultima esibizione nella terra natia, vi ha raggruppato un numero troppo rilevante di mezzi espressivi, dei quali alcuni erano ancora alla fase sperimentativa e conferivano in qualche maniera a diluire la mostra. Ho in mente in particolare i panelli qui per la prima volta esposti (e probabilmente per l'ultima) trattati quasi in fretta con smalti e vernici colorate. Dall'altra parte apprezzo molto gli intonaci di colore, dove si evidenzia in maniera dominante la sensibilità di Dydek per la linea ed il colore, le sue anni espressive più forti e che lo accompagneranno verso il periodo della maturità. Ma non anticipiamo.
Dopo l’anno 1963, Dydek si dedica di più a creazioni monumentali e di carattere architettonico decorativo. In tutto ciò il mezzo espressivo ha sempre un ruolo importante. A questo periodo appartengono i grandi bassorilievi in ceramica (ad es. il cinema Ostrava-Havirov), le vetrate (scuola in Praga-Kobylisy) ed altre esperienze.
Lentamente si sta avvicinando la cosiddetta primavera di Praga ed una certa liberalizzazione è visibile anche nel campo dell’arte. Anche l'opera di Dydek ha nuove possibilità di applicazione. Nel primo sottopasso pedonale di Praga, a metà di piazza Venceslao, tra le vie Vodickova e Jindrisska (l'odierno ingresso alla metropolitana), Dydek crea due grandi panelli (circa 3 x 5 metri), con una particolare tecnica a stucco colorato (“stucco lustro”), che sorprendentemente vi sono sopravvissuti fino ad oggi. Al culmine della primavera di Praga, Dydek viene incaricato a decorare un gruppo di alberghi internazionali all'isola di Hvar in Jugoslavia, dove installa le sue grandi opere in tessuto (art protis), incisioni a fuoco di panelli di legno, disegni per le camere e altri interventi decorativi.
La primavera di Praga è terminata con l’occupazione della Cecoslovacchia e con essa è finita anche la libertà artistica, per Dydek, nel suo percorso creativo, già per la terza volta. Nell'anno 1969 è riuscito a ripartire per la Jugoslavia e non appena s'era presentata l'occasione anche per la sua famiglia, ha attraversato con la sua Skoda, insieme alla moglie ed al figlio il confine con l'Italia. Per l’ormai cinquantenne padre di famiglia, senza alcun mezzo di sostentamento almeno per gli inizi, è stato un atto abbastanza coraggioso, ma Dydek probabilmente aveva fiducia in sé stesso, o meglio, credeva nella sua arte.
Con questo comincia una nuova fase della sua vita. Gli inizi erano difficili, come per la gran parte degli esuli. Dapprima il subaffitto economico, dove come studio utilizzava un balcone, per fortuna abbastanza spazioso. Questo avveniva a Gardone Riviera, sulle rive del Lago di Garda, una regione alla quale è rimasto fedele fino ad oggi. Il costo della vita quotidiana, per l'affitto, i colori e le tele, erano per i primi anni supportati dalla moglie Jarmila e dal suo lavoro di commessa in un negozio nella vicina cittadina di Salò. A quell’epoca si cominciava a dipingere con gli acrilici che a parità qualitativa erano più economici dei colori ad olio, ciò che per Dydek, vista la sua situazione era conveniente e da allora è rimasto fedele all’utilizzo dell’acrilico. Ha anche cominciato a produrre un gran numero di disegni, in parte per necessità - i disegni erano più facilmente trasportati, immaganizzati ed anche venduti, cosa di primaria importanza per la famiglia. Quando le possibilità tecniche lo permettevano si dedicava pure all'amata opera grafica (punte secche, litografie, incisioni e altro). Un artista difficilmente riesce a nascondersi in una piccola cittadina, soprattutto in Italia, dove gli artisti in genere sono molto considerati. Dapprima sono venuti a trovarlo persone del villaggio, poi dei dintorni ed infine dalle città. Il primo invito di esporre in una personale è arrivato da Milano già nel primo anno e nei due anni successivi si sono aggiunte, a parte una galleria locale ancora due volte Venezia, due volte Bergamo, Brescia, Salò e Cremona. La stampa riportava delle critiche positive e sembrava che il successo fosse sulla buona strada, ma la famiglia necessitava assolutamente anche di un risultato economico, il figlio cresceva e c'era bisogno di trovare un appartamento più ampio ed uno studio. Sul territorio italiano non c'erano problemi di tenere delle mostre, buone gallerie di Milano, Venezia, Bologna ed altre città si intercalavano regolarmente con gallerie più piccole intorno al lago. Ma un cambiamento è iniziato circa dal 1974 con delle mostre all'estero. Personali in Germania, Svizzera, Olanda ed Austria, insieme alle partecipazioni ad esibizioni nel resto d'Europa (Francia, Svezia) e fuori come in Giappone (Tokio), USA (Los Angeles, Washington, Chicago ed altre), Canada (Montreal, Toronto), hanno portato Dydek nell'ambito mondiale e gli hanno procurato una grande schiera di ammiratori, e tra questi anche alcuni collezionisti. Grandi raccolte private delle opere di Dydek si trovano oggi in Germania, Svizzera e naturalmente in Italia.
Tra queste è visitabile una sua collezione a Firenze (oggi presso il complesso del Santuario del Carmine di San Felice del Benaco – BS – ndr.) (…) nella quale sono depositati circa un centinaio di quadri e di panelli a stucco, circa cinquanta disegni e fogli grafici ed alcune opere tessili. (L’allestimento è stato concepito con la Fondazione Angelo Coan – principale organizzatore del progetto – ndr.) (…), e che vale di essere visitato.
All’inizio ho rilevato, che nell'opera di Dydek sono presenti due elementi costanti, la linea ed il colore, ed ad essi si aggiunge in forme diverse un elemento materico come parte inscindibile. Al principio l’autore combatte con questi elementi, cerca di addestrarli, per poterli vittoriosamente dirigere. Il tratto, o se volete la linea, ha già dalle prime opere di Dydek un'importanza reale, gli spessi contorni sono integrati col colore, nei fogli grafici incontriamo invece una linea morbida, sottile, come un unico mezzo espressivo. Il materiale e la tecnica mantengono così un ruolo determinante.
Probabilmente questi tre suddetti elementi hanno contribuito al fatto che Dydek non ha mai perso una sua comprensibilità, ciò che manca a tanti pittori moderni. Così come ha saputo resistere agli indirizzi d'arte determinati dallo stato negli anni cinquanta e sessanta, allo stesso modo ha resistito più avanti nella artisticamente libera Italia al richiamo del successo a tutti i costi con l’aiuto di miopi eccentricità, che (nell'arte) non sono mai mancate e tuttora non mancano. Dydek semplicemente in tutte le circostanze resta un artista, che dipinge per una forte necessità interiore di farlo, anche perché, e ben lo sa, di non saper far nient'altro meglio.
Ladislav Dydek è probabilmente il pittore ceco, residente fuori dai confini della sua patria, di maggior successo. Immagino un'ondata cli dissenso, soprattutto tra coloro che si ritengono tali, ma questo è normale. Qualcuno potrebbe obiettare, di aver dimenticato Jiri Kolar che vive e lavora in Francia. La verità è però che non l’ho e non avrei potuto dimenticarlo, ma Kolar non è soltanto un pittore, è principalmente un poeta, che riesce a tramutare tutto ciò che gli passa tra le mani in poesia, qualunque cosa. In questo consiste la sua grandezza ed importanza, la pittura è solo una frazione della sua opera. Per Dydek il metro di paragone non sono le decine di mostre nell’esigente Italia e neanche le altre numerose esposizioni in altri paesi di tre continenti, e neppure il grande interesse con cui l’ha accolto il pubblico non solo italiano. La misura del valore di Dydek come pittore e come uomo è il fatto che tutto ciò che ha raggiunto, l'ha raggiunto con la fede nella propria arte e con la coscienza di essere sulla strada giusta. Senza tutto questo la sua situazione sarebbe stata poco invidiabile. Da solo con la moglie e con il figlio adolescente, oggi già architetto di successo, senza conoscere la lingua, (vivendo) precariamente in una casa d'affitto, senza sovvenzioni – chi lo invidierebbe. Rifiutava anche le possibilità, sulle quali gli artisti che cominciano a lavorare all’estero s’arrampicano, come l'insegnamento di disegno nelle scuole locali, dipingere per un "gusto" commerciale e turistico, come qualsiasi altro possibile guadagno collaterale.
Se oggi l'ormai settantasettenne Dydek si voltasse a guardare la propria vita artistica, dovrebbe essere altamente soddisfatto. Difficilmente avrebbe potuto fare di più. Ed a coloro, che se lo ricordano ancora da Praga, posso spero rivelare, che vive come nonno di due nipoti con la moglie Jarmila ed almeno tre cani in una bella casa sopra il lago di Garda, sempre creativo ed impulsivo come era, solo le sue "uscite" son più rade e meno aggressive, ma sempre inaspettate come una volta.